Quando la spesa pubblica arriva al 69% del PIL, ma lo Stato non sa neanche mirare gli aiuti che stanzia

Se n’è accorto solo il Sole24 Ore, gli altri hanno taciuto. Ma sta di fatto che restrospettivamente si può dire oggi numeri alla mano che non sbagliavano, coloro che come noi già dall’estate 2020 hanno iniziato a dire che la pioggia di miliardi in deficit destinati ai ristori a fondo perduto era mal congegnata, figlia di pulsioni partitiche ed elettorali, e che rinviava nel tempo l’allocazione di risorse importanti su riforme di sistema che erano invece più importanti, per avviare una ripresa solida e autoportante. Il Sussidistan non ha funzionato. Non solo le ingentissime risorse rilasciate si sono comunque risolte in ristori (ai tempi di Conte) e sussidi (sotto Draghi) che, applicati a una vastissima platea teorica di soggetti, hanno comportato comunque somme poco più che irrilevanti rispetto alle perdite più gravi registrate invece in alcuni settori che andavano ben messi a fuoco, ed era possibile agevolmente farlo già dalla scorsa estate per concentrare su di essi le risorse. In più il criterio dei fatturati trimestrali non comprendeva l’effetto di chi nel 2019 era in difficoltà (eravamo già in recessione a fine di quell’ anno, non dimenticatelo). E infine escludeva di concentrare i sussidi su chi aveva invece realizzato le maggiori perdite rispetto ai costi fiossi e margini, usando invece il “criterio stupido” del fatturato.  

Si stimavano 3,3 milioni di partite IVA nello scorso autunno che avrebbero finalmente avuto accesso al beneficio, e lo hanno richiesto invece 1,8 milioni. In sostanza, sia il decreto ristori di Conte, sia il decreto sussidi di Draghi hanno ottenuto richieste inferiori per complessivi 5,6 miliardi rispetto agli stanziamenti. In realtà, a questi 5,6 miliardi ne andrebbero sommati ulteriormente altri 3,1 per un totale di ben 8,7 miliari di fondi in eccedenza. Ma questi ultimi 3,1 mld però sono già stati destinati (direi positivamente) a quando per la prima volta a fine anno sarà possibile usare come parametro costi fissi e margini, non più il fatturato (in teoria usando il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi al 30 novembre).

Certificato questo ennesimo fallimento delle capacità previsive pubbliche, e degli strumenti di intervento pubblico – fallimento naturalmente negato dal mantra “abbiamo salvato l’Italia grazie al debito finalmente senza limiti”, ma in realtà non hanno salvato affatto un milione di occupati che sono venuti meno… – ora c’è il problema di che fare, di questo mucchietto di miliardi.

La razionalità vorrebbe che se le risorse erano stanziate per iniziativa del governo, esse tornino nella disponibilità del governo. Che dovrebbe concentrarle per anticipare l’avvio di qualcuna delle   riforme strutturali di maggior importanza: soprattutto giustizia, fisco e politiche attive del lavoro. Ma non è questa l’aria che tira. I partiti della maggioranza scalpitano da tempo di fronte alla raffica di decreti Conte-Draghi. Già hanno ottenuto 1,7 miliardi di misure a pioggia su proposta spartitoria di ogni gruppo politico in proporzione, dei miliardi aggiunti al PNRR su iniziativa del governo Draghi. Ora vogliono fare la stessa cosa per i 5,6 miliardi stanziati ma non impegnati per ristori e sussidi: per i partiti è un “tesoretto”, orrido e mistificante termine condiviso dai media per i quali somme in deficit non spese è come se fossero non maggior deficit da evitare, ma improvvise scoperte di giacimenti auriferi prima ignoti. Di conseguenza è già partito lo schema di spartizione: 100 milioni qua, 50 là, un po’ alle fiere, un po’ alla cultura, un po’ dove si vota in autunno, un po’ di milioni anche alle imprese visto che la linea di finanziamento della legge Sabatini per gli incentivi al rinnovo degli strumenti produttivi è esaurita già da inizio giugno, eccetera eccetera.

Il governo Draghi non è un arcigno custode delle proprie risorse stanziate e non impegnate,  poiché già tira molto la corda con i partiti su alcune riforme di sistema e sulle nomine, di conseguenza tende ad accettare che i partiti abbiano mano abbastanza libera su queste somme. Ma è un errore: un errore grave.

Voglio ricordarvi quel che sui giornali non avete letto e in tv non avete ascoltato. Il 23 giugno la Corte dei Conti ha rilasciato il giudizio di parificazione del rendiconto generale dello Stato relativo all’anno 2020. Ebbene nel 2020 gli stanziamenti complessivi di spesa pubblica sono ammontati a 1.138,7 miliardi rispetto agli 871,1 miliardi del 2019. L’aumento è stato del 31%. Sapete che cosa significano quei 1.138,7 miliardi rispetto a un Pil che si contraeva nella pandemia di oltre l’8%? Significa che nel 2020 la spesa pubblica italiana è arrivata a rappresentare il 69% del PIL. Sì, non è un errore di battitura: il sessantanove per cento del PIL. E poi ci rompono le scatole dicendo basta col liberismo! Vi rendete conto, di fronte a queste cifre, che uno Stato che quando decide di aiutare l’economia non sa usare i criteri giusti, e che partiti che credono questo andazzo di spesa sia eterno, sono una duplice intrecciata minaccia che va sconfitta e ricondotta su tutt’altra strada? 

Oscar Giannino

2 thoughts on “Quando la spesa pubblica arriva al 69% del PIL, ma lo Stato non sa neanche mirare gli aiuti che stanzia”

  1. Visto che è scorretto dire che questi partiti sono un pericolo per la democrazia, possiamo almeno dire che questi partiti sono un pericolo per il buon governo? Credo fermamente un dovere rappresentare sia gli sprechi sostenuti in questo ultimo anno che le disuguaglianze sociali , e la risposta richieda una tassazione straordinaria, altro che il ” non è il momento di prendere, ma di dare” di Draghi.

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