LA DRAGHI-GOVERNANCE DEL PNRR. MIRACOLO TEMPORANEO O MODELLO PERMANENTE?

Bisogna dare atto che, almeno sinora, Draghi sta riuscendo a farsi approvare dai partiti i decreti legge della fase prodromica del PNRR, cioè le misure in assenza delle quali l’attuazione del Piano non può neanche partire. Il decreto semplificazioni; quello sui 24mila assunti con contratti a tempo (21 mila da soli sono per accelerare i tempi della giustizia), per funzioni e qualifiche specifiche necessarie a realizzare e monitorare i progetti secondo il rapido scadenziario che bisogna rispettare per non perdere le risorse europee; e infine l’architettura della governance. Qui mi soffermo sull’ultima misura. Tanto rilevante che fu all’origine dell’accelerazione della crisi che segnò la fine del governo Conte2.

Tra fine 2020 e inizio 2021 Conte non riuscì a convincere nessuno della piramide che aveva disegnato, con lui in cima, uno squadrone di manager delle imprese pubbliche coinvolti (contrassegnati da un gigantesco conflitto d’interesse, visto che molti dei piani del PNRR finiscono per investirle direttamente, dall’energia ai trasporti), e infine tre gradoni discendenti. Il problema risultò insolubile per la voglia dei partiti di aver propri ministri nella cabina di regia a fianco del premier; per la voglia dei vertici amministrativi dei ministeri di non piegarsi a un ruolo preminente del MEF e Ragioneria dello Stato; oltre che ovviamente per la resistenza di Regioni e Comuni a un ruolo sovraordinato del governo centrale. In sintesi: i tre nodi del contrasto di fondo tra forma di governo parlamentare e poteri del premier, tra Stato e Autonomie, e tra politica e amministrazione. Tre patologici colli di bottiglia del nostro bislacco ordinamento, che originano poteri non tra loro equilibrati e convergenti, ma caratterizzati dall’uso sempre più abituale di poteri di veto reciproco.

La cosa abbastanza incredibile è che a Draghi sia riuscita la risoluzione dei tre nodi senza alcun clamore. Anche sui media la grande novità è passata in maniera quasi distratta, facevano più notizia i 24 mila assunti. Che c’è scritto di preciso, nel decreto governance? Che alla testa c’è Draghi, unico componente fisso di una Cabina di Regia che può a seconda delle misure estendersi a ministri diversi. Risolto il problema coi sei partiti della eterogenea maggioranza: dipende solo dalla competenza dei ministri se partecipino o meno, non esistono delegazioni permanenti dei partiti con poteri di veto. Sotto questa cabina di regia personale, una Segreteria Tecnica che ne istruisce le decisioni e ne segue l’attuazione. La Segreteria risponde anch’essa al premier. Ed è il premier l’unico dotato di poteri sostitutivi, in ogni caso in cui unità centrali o locali della pubblica amministrazione non eseguano nei tempi e nei modi previsti i progetti loro affidati. Si prevede una procedura accelerata di soli CINQUE giorni al termine dei quali, se l’unità della PA non si allinea, il premier porta la sua decisione in Consiglio dei Ministri e la decisione centrale prevale. Le parti sociali sono accontentate con un Tavolo di Partenariato con imprese e sindacati: senza alcun potere se non consultivo, niente consociativismo. La Cabina di Regia informa ogni sei mesi la Conferenza Stato-Regioni, amen. Mentre il MEF (con un esteso Ufficio di Coordinamento PNRR creato ad hoc) e Ragioneria Generale dello Stato (potenziata con mezzo miliardo di euro) costituiscono referente per l’attuazione del PNRR da una parte verso la Commissione UE, dall’altra verso ogni unità centrale e periferica della PA. Addio pretese dei ministeri.

Non so voi, ma io nell’apprendere i particolari sono rimasto positivamente esterrefatto. Non solo per la portata sismica oggettiva che questa soluzione top-down esercita verso una babele di conflitti di potere cristallizzati, confermati anche nella pandemia. Ma poi per il fatto che la novità sia passata liscia come l’olio, senza che uno dei solitamente iper agguerriti accademici e magistrati abbia – almeno finora- eccepito che così non va, ci sono rischi seri per la democrazia eccetera eccetera.

Per questo vi chiedo di aiutarmi a capire: voi che cosa pensate?

A tacitare tutti è stata la rassegnazione diffusa a dover semplificare comando e controllo, visto che altrimenti gli ultimi decenni ci dimostrano che non abbiamo alcuna possibilità di realizzare riforme e opere del PNRR in 6 anni?

E’ la distrazione generale verso la complessità delle formule tecniche così tipica del dibattito pubblico italiano, tanto poi si sa che la politica fa e disfa come vuole e lo farà anche con Draghi, e tanto più quanto non ci sarà più lui e il sessennio del PNRR non sarà affatto esaurito?

Oppure sono i sovranisti sostenitori della formula “un uomo solo al comando”, a vedere in questa governance un precedente per il quale nessuno potrà obiettare, un domani che la vogliano adottare loro?

Un’osservazione dirimente su questo punto: la governance PNRR NON è la riforma della Costituzione, in assenza della quale non c’è alcuna possibilità che un Salvini possa ottenere quel che aveva invocato nell’estate 2019, e che lo portò dritto alla sconfitta e alla nascita del Conte2 venendo sostituito dal Pd a fianco dei 5S. Questa governance ad hoc nasce e si legittima ESCLUSIVAMENTE per il PNRR.

Tuttavia non c’è dubbio che, per districare l’attuale giungla di conflitti di competenza del Titolo V° attuale della Costituzione regalatoci a stretta maggioranza da D‘Alema, come per un’idea di forma di governo parlamentare sì ma incardinata su un premierati forte, su entrambe queste questioni la governance PNRR di Draghi offre una miniera inesauribile di spunti. Perché l’obiettivo dovrebbe essere non quello di fare miracoli per qualche anno per non perdere i soldi del PNRR, ma trasformare la funzionalità e l’efficienza ordinaria dell’intera PA per sempre, d’ora in avanti. O no? 

Oscar Giannino

5 thoughts on “LA DRAGHI-GOVERNANCE DEL PNRR. MIRACOLO TEMPORANEO O MODELLO PERMANENTE?”

  1. L’obiettivo di riformare strutturalmente l’Italia dovrebbe essere condiviso in un ottica di futuro sostenibile e inclusivo, nel senso che ognuno dovrebbe fare la sua parte per creare un paese più ricco è attraente. Per tutti.
    Il PNRR è un progetto; ci serve anche una visione condivisa. E un adeguato cambio di mindset: e questa è la parte complessa.

  2. Il punto focale è nella responsabilizzazione dei ministri competenti per materia che sono responsabili della attuazione delle decisioni. E nella mancanza di tecnici autonomi per la realizzazione. L’assunzione nella PA di 24000 tecnici interni, anche se per 5 anni, che progetteranno conoscendo dall’interno le esigenze.

  3. I media vivono nell’imbarazzo di non offendere l’orgoglio dei capi bastone dei partiti, certo offesissimi dall’approccio di Draghi. E così non danno enfasi alla governance del PNRR così brillantemente risolta. E i media non sono propensi nel contempo a fare vedere di essere favorevoli al “nuovo corso” di Draghi. Credo che i partiti giocheranno le loro carte con le riforme: Conte ad esempio si sentirà sempre più interlocutore, misurandosi con Di Maio. Ma la strada è in salita per Draghi.

  4. Citando nella formula inaccurata il rasoio di Occam, la risposta credo sia quella più semplice: è complicato e ci capiscono poco, noi italiani, io per primo, ci capiamo poco (complice l’informazione), e quindi fila tutto liscio.
    Spero funzioni, e forse sarebbe opportuno comunicarlo e spiegarlo meglio per, eventualmente, rendere gli aspetti positivi strutturali nel nostro sistema.
    Però, ripeto, non so. Vediamo. Forza Mario.

  5. Il centrodestra che si sente sicuro vincitore delle prossime politiche dovrebbe approfittare di un primo ministro come Draghi per riformare la costituzione in modo da rendere il paese più governabile. Visto che comunque dovranno tenerselo fino a fine legislatura e visto che quasi sicuramente non si presenterà alle politiche come competitor Salvini, Meloni e C. dovrebbero appoggiarsi al suo prestigio per riformare il sistema.

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